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Post by do on Dec 22, 2005 22:32:46 GMT 1
Al termine dello spettacolo “ Il diluvio fa bene ai gerani ”, Enrico Bertolino ha concesso questa intervista.
Dopo molti anni di gavetta tra il Teatro ed il Cabaret e, dopo alcune positive esperienze Televisive, torna al primo amore: il teatro. Quale la motivazione?
Ma... Perché il teatro è il punto di partenza ed il punto di arrivo, si va da li e si ritorna li, per me è quello che bisogna essere fatto... Per cui l'esperienza del cinema e della televisione... Beh cinema ho fatto poco.. servono più che altro a misurarsi con nuovi strumenti…. Ma il teatro rimane la formula espressiva migliore.
Teatro e Cinema sono alcuni strumenti con i quali l'artista esprime la sua arte. A quale strumento si sente più legato?
Mi sento effettivamente più legato al teatro, assolutamente, a me piace di più.
Anche perché da più gratificazione...
Si, avendo poi iniziato dal Cabaret a fare il salto nei teatri, è già un bello spettacolo.
In verità ha cominciato come bancario...
Si, ho fatto di tutto... E faccio ancora il consulente, il formatore, per cui ho questa doppia attività. Beh, è bello realtà e... Mettere insieme... Le due vite.
Quanto c'è di suo (del suo vissuto, creatività) nei suoi spettacoli e, quanto c'è degli altri, del mondo esterno, delle persone e delle situazioni di vita quotidiana?
C'è molta osservazione degli altri introiettata da me e molto del mio proiettato sugli altri. Un mix. Uno scambio. Molti dei personaggi che prendo in giro sono io stesso.
Qual è la dote migliore che un attore deve possedere: spirito d'osservazione o la capacità di riadattare situazioni nuove?
Dipende dalle tipologie di attore. Io non mi reputo un attore ma un autodidatta... Uno... Uno che si è fatto dalla scuola “radio elettra”. Non avendo fatto scuole, l'unica alternativa per me è l'osservazione della realtà. Per gli altri è l'interpretazione dei ruoli ma richiede più preparazione.
Torniamo al teatro. In questo spettacolo è diretto da Giampiero Solari. Come ha impostato lo spettacolo?
Giampiero ha dato molti aiuti, lui e Paola (Galassi) hanno dato un aiuto notevole nell'allestimento dello spettacolo. E' chiaro però che ognuno ha una sua strada ma in alcuni tocchi... La musica, le bolle (di sapone), le luci, sono state guidati da Jazzetti che è il curatore luci e guida Solari e Galassi. E al resto ci abbiamo pensato noi, sui testi. Lui dava soltanto risultati scenografici.
Ah... Quindi i testi partono da...
Miei e di Bonifaci.
Arte e realtà. In che modo la comicità può essere considerata un “filtro” per interpretare e riflettere sugli avvenimenti che quotidianamente accadono in ogni parte del mondo?
Si, adesso serve molto. E' un “filtro” disintossicante della realtà... Soprattutto la satira deve diventarlo. Deve essere uno specchio impetuoso ma non deformante
Nel 1998 al cinema ha interpretato il fidanzato della Marini nell'ultimo film di Alberto Sordi “Incontri proibiti”. Un ricordo del grande attore scomparso.
Il ricordo più bello che ho di lui era il monologo finale che facemmo sui treni fermi... Non era un treno in movimento ma veniva mosso dalle persone perché lui voleva risparmiare, non voleva farlo correre... Alla stazione romana, nei treni laziali, provare le battute con lui nello scompartimento mi sembrava come di essere... Io in un film... E'? Mi sembrava di essere “La rosa purpurea del Cairo”... Ero fuori dalla realtà... Eavevo vissuto questa situazione come la più grande della mia vita artistica per adesso... Per cui ringrazio chi mi ha dato quella opportunità.
Spesso si dice che i comici nella vita reale sono molto malinconici. E lei come si considera?
No, io, un pò di malinconia ce l'ho e la porto anche in scena. E' giusto che ci sia. Persone troppo euforiche o si drogano o hanno dei problemi. Io penso che l'euforia vada limitata. Se uno poi è euforico di questi tempi... Oè un guerrafondaio, per cui perde la mia stima o è una persona che non vede la realtà... Ecome tale è a rischio lui.
Che cos'è la guerra?
Una devastante esperienza che nonostante venga fatta... È come una malattia: il morbillo... Tu pensi di essere al riparo ed invece non lo sei mai... E' gli orecchioni del mondo.
Samuele Baccifava
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Post by do on Dec 22, 2005 22:35:09 GMT 1
Eugenio Finardi, cantante, autore, chitarrista, pianista. Ma chi è oggi Eugenio Finardi?
Sono un anomalo cantautore, perché ho privilegiato sempre la parte musicale al testo… o meglio, non ho mai pensato di fare della poesia nei testi ed ho cercato invece di fare della prosa. All'inizio era anche una posizione ideologica…il discorso era quello di fare delle cose che fossero istantaneamente comprensibili e che servissero. Però devo dire che il mio stile è quello di fare della prosa, mentre la poesia cerco di metterla nella voce, nel canto.
Dagli anni settanta ad oggi la musica italiana si è profondamente modificata. Una volta i cantautori erano la diretta emanazione di un attivismo sociale e politico e la musica era vista come uno tra i tanti strumenti di lotta. Oggi, la maggior parte dei musicisti italiani raccontano storie e tendono con più facilità ad un “intimismo autoriale”. Perché questo cambiamento?
E' l'aria che tira…anche se poi la distinzione tra il “personale” ed il “sociale” è sottile nel senso che, cantando onestamente il “personale”, non si può che fare anche un discorso “sociale”.
Gli anni settanta sono anche gli anni del Rock Italiano, della contaminazione musicale del “progressive” con aperture all'improvvisazione del jazz, del fusion, del funky e della musica nera. Musica e Ricerca. Ma qual'era il senso di questa ricerca?
La musica è tanta e a me piace interpretarne vari aspetti, tutti gli aspetti che sono nelle mie corde… per fortuna, ho la fortuna di essere nato figlio di una cantante lirica quindi di aver avuto accesso ad una cultura musicale abbastanza ampia e quindi posso cantare cose diverse… Dal Fado al Blues, al Jazz.
Musica e scrittura. I suoi testi sono sempre legati alle sue esperienze di vita, rappresentando istantanee fotografie raccolte nell'album dei ricordi. Ma i testi invecchiano o, col tempo, sono soggetti a nuove interpretazioni?
Alcuni si, alcuni no. Io ho avuto la fortuna di scrivere varie canzoni che non sono invecchiate così tanto… Altre invece erano molto datate e purtroppo, anche se le amo come canzoni, sono datate come contenuti.
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Post by do on Jan 17, 2006 21:52:53 GMT 1
Dal rock espressione degli anni dell’impegno al blues intimistico dei lavori più recenti: Eugenio Finardi si può definire un artista poliedrico. Per lui la musica è ispirazione e ricerca continua. Con “Anima Blues” sta girando i teatri di tutt’Italia. Settimana scorsa si è esibito a Milano alla Blues House.
- Finardi, come è nata la sua passione per la musica? - La amavo già prima di nascere. Sono stato assalito dalla musica quand’ero nell’utero di mia madre: è una cantante lirica, un soprano che non ha mai smesso di intonare arie. La musica è una componente innata della mia vita, quasi una condanna. - E infatti poco dopo, all’inizio degli anni Sessanta, ha iniziato ad esibirsi in un locale del milanese, il Carta Vetrata. Quale atmosfera vi si respirava? - Quel locale, a Bollate, è stato importantissimo per la mia formazione di musicista. Su quel palco ho suonato con Alberto Camerini e Walter Calloni: formavamo la band “Il Pacco”. Ma al Carta Vetrata si ritrovavano altri musicisti importanti, come la Pfm. C’era un’atmosfera gioiosa, di complicità: si suonava tutti insieme. Lì ho sperimentato il blues, il mio primo amore. - Si respira ancora, a Milano, un’atmosfera di questo genere? - In quel periodo c’era voglia di fare, di mettersi alla prova: la mia generazione ha creduto nel valore dell’impegno civile. Per uno come me, cresciuto con le utopie degli anni Sessanta e Settanta, questa è un’epoca ben TRISTE. E non solo a Milano. Viviamo momenti bui, che sembrano segnare un ritorno agli aspetti peggiori del Medioevo, con integralismi e assolutismi. - Il suo primo disco “Non gettare alcun oggetto dai finestrini”, 1975, è decisamente rock. Cos’ha significato per lei questo genere musicale? - E’ il motore primordiale, proprio come il blues.. Rock e blues sono la culla di tutto quello che ascoltiamo oggi. Il rock è un modo di vivere che ha segnato indelebilmente il mio modo di vivere. - Quale ruolo ha avuto la sperimentazione nel suo modo di fare musica? - La musica è continua ricerca. Non è un caso che da un po’ di anni abbia chiuso con l’esperienza di cantautore di brani commerciali. Ora aspiro a qualcosa di più. Posso definirmi un musicista in cerca di trascendenza attraverso la musica. Il mio percorso è iniziato con quella classica per approdare all’esplorazione delle potenzialità del fado portoghese. Questo studio aveva dato vita a “Il silenzio e lo spirito”, 2003, lavoro in cui avevo cercato, attraverso il suono, la melodia e l’armonia, di andare oltre. Il passaggio successivo è stato il ritorno al fuoco primigenio del blues degli anni giovanili. - Già, “Anima Blues” reca traccia già nel titolo delle sue intenzioni. Quali sono i suoi progetti per il futuro? - Fare concerti e ancora concerti. Vorrei portare il mio spettacolo anche all’estero. - E Milano? - Purtroppo mi sembra culturalmente spenta. Ad esempio, non ci sono posti per suonare. Sono considerati “grandi eventi” quelli legati alla televisione commerciale. La gente è in crisi, è evidente. Milano è sempre stata una città di destra. Oggi sono addirittura arrivato a rimpiangere le amministrazioni del passato!
Intervista rilasciata per “primopiano”, 16/22 Gennaio 2006
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Post by do on Dec 5, 2006 15:15:38 GMT 1
Dario Fo: un protagonista del teatro, un premio Nobel. Un uomo che nel corso di cinquant'anni di carriera artistica, ha creato, rivoluzionato, riadattato, idiomi linguistici, testi teatrali, personaggi della storia e della fantasia mischiando passato e presente, a volte, anticipando il futuro… Vitale, energico, trascinatore d'ogni genere di pubblico, critico nei confronti del teatro moderno, colpevole, secondo le sue stesse parole "di non essere innovativo". Sempre accompagnato dalla moglie e attrice Franca Rame, ha resistito nel tempo ad una vita difficile fatta di forti dolori e intense gioie, critiche e odi, perché un artista del genere non può passare inosservato; si detesta o si ama e a volte si rifiuta perché fa pensare. Ma a Fo interessa solo il suo pubblico, in esso trova la forza di andare avanti e di migliorare ogni giorno. A chi lo evita, poi, ritenendo scomodi i suoi pensieri, lui risponde citando una frase degli antichi greci: "Non c'è cosa che disturba di più il potere, di sentire ridere sulle sue menzogne".
Dario Fo, nel corso di circa 50 anni di carriera teatrale, lei ha portato sulla scena le sue opere più volte, ritiene che sia cambiato, oggi, il modo di percepire le sensazioni da parte del pubblico?
Certamente sì, ma la differenza è in considerazione non di un diverso linguaggio, piuttosto delle situazioni che cambiano. Situazioni politiche, sociali, economiche che condizionano il pubblico e possono generare se negative, timori, panico e angosce, se positive, gioie. Altro cambiamento poi è rappresentato dalla nuova abitudine di proporre e fare gli abbonamenti. Sono sicuramente importanti per il teatro ma rischiano di venir espressi in modo mercatale non realizzando una minima scelta tra le compagnie teatrali, così il pubblico resta inerte e vede quello che gli viene proposto e non quello che ha scelto di vedere.
Crede, invece, che il pubblico che viene a vedere le sue rappresentazioni scelga di farlo?
Credo proprio di sì. Il mio pubblico viene perché mi conosce e se non mi conosce viene per farlo. Ha un legame con me, anche i ragazzi giovani che hanno più difficoltà ad avvicinarsi al teatro, io lo sento che sono curiosi e sento il loro fermento quando recito sul palcoscenico. Ho nel pubblico il più grande collaboratore di testi teatrali.
Spesso i suoi testi hanno come caratteristica dei protagonisti che sono personaggi remoti nel tempo (mi viene in mente il suo Mistero Buffo), cose si propone di realizzare con questo?
Io, così come anche Franca, quando parliamo del passato parliamo anche del presente. C'era un grande uomo del teatro, Moliere, che diceva "il presente è il passato e il passato è il nostro presente", cioè tutto si lega. Certe volte non mi prefiggo, nei miei spettacoli, di fare un discorso rimandando alla nostra vita quotidiana, ma se un attore ascolta l'umore del pubblico e improvvisa lasciando qualche volta da parte il copione, ecco che inevitabilmente si viene a parlare di attualità.
Lei è un protagonista del teatro. Come tale, in che modo pensa sia cambiato il teatro in questi anni?
Diciamo che ci sono stati momenti nel nostro teatro in cui la scrittura di nuovi testi, il racconto dei tempi, il rapporto delle cose che avvengono, era all'ordine del giorno. Quando io sono entrato nel teatro esistevano centinaia di autori giovani e opere che venivano messe per la prima volta sul palcoscenico, oggi questo è quasi scomparso. Si tende a realizzare il testo di routine, quello sicuro. Si fanno i classici rivisitati ma non serve se non c'è il contrappunto dell'attualità. Non dimentichiamo che quando sono nati i classici, non erano classici ma delle proposte di grande novità. Shakespeare ha scritto decine e decine di opere e ogni giorno c'era nella città di Londra uno spettacolo nuovo. Così dovrebbe continuare ad essere il teatro.
Come definirebbe il suo teatro?
Un teatro satirico, legato alla nostra storia. E' provocazione e tende a rinverdire la coscienza della nostra storia e l'attualità dei nostri giorni. In poche parole: non ha peli sulla lingua.
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Post by do on Sept 5, 2007 14:27:30 GMT 1
Ciao ragazzi! Sono proprio io, il cantante degli Stadio, quello che si muove come un pazzo sul palco, che "è diventato improvvisamente bello dopo il successo del gruppo" e che ammira da morire il grande Paul McCartney (che volete farci, sono cresciuto con la musica dei Beatles!). ... Sono nato a Bertinoro, in provincia di Forlì, e ho avuto la fortuna di conoscere, quando ero poco più che bambino, una persona con cui siamo diventati "amici per la pelle" e, ogni volta che ci vediamo, ci divertiamo da morire. È un certo Vasco Rossi, pensate che sono stato il suo primo (!) produttore-musicista: erano veramente altri tempi! Con Vasco ho fondato il primo gruppo della mia carriera e ho lavorato nella mitica "Punto Radio", la prima radio privata di Zocca, nel modenese. Ho prodotto per lui il primo disco, "Non siamo mica gli americani" - ricordo ancora quando nacque un piccolo capolavoro come "Albachiara"- e "Colpa d'Alfredo"! Oggi scriviamo ancora canzoni insieme: un paio sono sul suo nuovo album. È proprio una grande storia di amicizia, come quella con Giovanni. Ho conosciuto il caro Pezzoli trenta anni fa, quando venne a suonare un paio di volte nel mio gruppo eppoi ci siamo rivisti a suonare... con Lucio Dalla! Non saprei tenere il conto dei concerti suonati assieme: saranno veramente migliaia; nel 1979, abbiamo deciso di farci chiamare STADIO. Non avrei mai pensato di fare il cantante (devo ammettere che sono stati gli altri a credere in me). Nel primo disco, quando giunse il momento di decidere chi dovesse cantare, iniziammo a provinare anche il barista sotto lo studio!! Avevo tanti dubbi ma poi tirai fuori una carica incredibile...Mi ricordo ancora le "incazzature" con Lucio (che, allora, era il nostro pigmalione) e gli altri, ma sono tempi lontani! La mia grande avventura è stata "BANANA REPUBLIC", con quei concerti davanti a 80.000 persone (avevo poco più di venti anni!) ma non dimentico nemmeno quando conobbi Luca Carboni e produssi il suo primo disco - dove ho scritto "Fragole buonebuone". Altro grande momento è stato l'incontro con Roberto Roversi, il poeta di "Chiedi chierano i Beatles", "Bianco di gesso nero di cuore", "Maledettamericatiamo" e "Millenovecentonovantaniente"). Ma devo sinceramente menzionare tutti i grandi autori che hanno lavorato con me (da Francesco Guccini a Ron, da Roberto Vecchioni a Saverio Grandi, Bettina e tutti gli altri amici che ci hanno aiutato a scrivere belle canzoni). Ci sono stati anche momenti brutti...ma è meglio dimenticarli!!! Cosa volete conoscere di me? Sono sempre stato un tipo tranquillo! I miei dischi di sempre? "Sgt.Pepper" e "Revolver" dei Beatles, "The lamb lies down on Broadway"dei Genesis, uno qualsiasi dei Doobie Brothers e quello con la Royal Philarmonic dei Procol Harum. La canzone degli Stadio che preferisco? Tutte, però quelle dell'ultimo disco SONO ECCEZIONALI! Cosa penso degli altri "Stadio"? Ormai li sopporto!! Sto scherzando, sono FENOMENALI... Pensate, sono passati tanti anni da quando è nata la band eppure siamo ancora qui a raccontarvi le nostre storie attraverso la musica e questo grazie a voi che in ogni occasione ci raccontate le vostre emozioni, le vostre esperienze: noi siamo pronti ad ascoltarne altre... Ciao, ci vediamo ai concerti, vi aspetto! @ Gaetano Curreri - www.stadio.com
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