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Post by do on Nov 15, 2005 8:48:52 GMT 1
INTERVISTA A.... DIEGO CARAVANO
nome: Diego cognome: Caravano luogo e data di nascita: Napoli, 26 Ottobre 1972 segno zodiacale: Scorpione altezza: 1.76 m colore occhi: nocciola colore capelli: castani colore preferito: rosso attore/attrice preferiti:Vittorio Gasman/Julia Roberts film preferito: The Blues Brothers libro: libri di Stefano Benni professione: musicista soprannome: Faccia Facciosa perche'... (non si sa) Un tuo difetto? Un pregio? Sono molto egocentrico. sono appassionato di... videogiochi, belle donne e musica. segni particolari: un sole tatuato sulla spalla destra. se fossi un animale sarei... un giaguaro la mia parola preferita e'... precipitevolissimevolmente del mio corpo non mi piace... l'unghia del mignolo la cosa che amo di piu' della vita... vincere cosa non sopporto... perdere il motto della mia vita e' CARPE DIEM la persona con cui vorrei trovarmi su un'isola... Francesca Neri la cosa di cui non posso fare a meno e'... l'amore
(The following form was filled in by Diego in May 2001. Certain answers subject to change)
Favourite movie: Ghost Dog Favourite music group: The Police Favourite singer (M): D'angelo Favourite singer (F): Ella Fitzgerald Favourite actor: Edward Norton Favourite actress: Meg Ryan Favourite place/city to live: Bali Favourite country for concert: Italy Favourite food (italian): Parmigiana Favourite food (other): Curry tandoori chicken Favourite animal for pet: Dog Activity in free time: Novels, books, internet, play tennis, buy instruments. If you were an animal, what would you have been? Why? Black panther, because it's handsome, strong, and smart. What is your favourite part of your body? My hands. What is the least favourite one? Favourite Neri per Caso album: ...And So This Is Christmas Favourite Neri per Caso song: Quando (Le Ragazze) What do you think about Neri per Caso? We are definitely the best a cappella group in the world!!!! What do you think about the other members of Neri per Caso? Mimì: I love the way he cook. Gonzalo: He's a good husband. Ciro: The best musician I've ever met. Mario: He could be a comedy actor. Joe: Great musician, great composer, great person! What fans mean to you and Neri per Caso? Energy and inspiration. What do you expect from the fans club? To be loved!!!
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Post by do on Nov 20, 2005 22:11:00 GMT 1
SM: Ciao Angelo. Live, Sito Web, gli mp3, il contatto diretto con i propri fan attraverso internet, sembra aver successo questo nuovo modo di autoprodursi. A cosa e' dovuta questa scelta, e' forse un punto d'inizio per una promozione alternativa alla classica carta stampata? Angelo:È nato tutto strada facendo. Non ci siamo posti limiti sin dagli inizi e questo è ancora il nostro modus operandi. Il web è il presente e sicuramente il futuro dell’informazione e noi stiamo semplicemente sfruttando la cosa in maniera molto corretta. Per esempio alle persone coinvolte nel progetto è chiesto di non visitare il sito per non sfalsare i dati, cerchiamo di applicare la famosa netiquette (una sorta di galateo del web) quando inoltriamo email e soprattutto siamo veri e sinceri. Crediamo fortemente di aver qualcosa da dire e faremo tutto ciò che è necessario per portare avanti la nostra musica. La gente che viene ad ascoltarci dal vivo, che visita il sito e che scarica gli mp3 sembra aver percepito questa cosa e supporta il progetto in maniera entusiastica. Credo che il fatto di dare alle persone la possibilità di vedere crescere un progetto musicale come questo faccia bene, si sta creando interesse soprattutto da parte dei fruitori della musica che saranno poi coloro che acquisteranno i cd e verranno ai concerti. Per quanto riguarda l’autopromozione, sulla carta stampata non è facile arrivarci a meno che tu non abbia già pronto un album o un singolo, ma stiamo lavorando anche a quello. SM: Il tuo nome orami circola da tempo negli ambienti musicali, dove vuoi arrivare, hai degli obbiettivi particolari? Angelo:L’obbiettivo, come ho già detto, è poter vivere della propria musica, girare il mondo suonando e lasciarsi dietro i soliti vecchi problemi per affrontarne magari di nuovi. Comunque l’obbiettivo principale al momento è quello di fare il disco e proporre il nostro show in tutta Italia. La parte live è quella che mi interessa di più, la parte più bella del nostro lavoro. SM: L'ormai indiscusso "fascino" delle tue composizioni sta contagiando sempre più ascoltatori, come nascono le tue idee, come riesci a metterle in musica? Angelo: Ti ringrazio per i complimenti, non ci si fa mai l’abitudine e talvolta si arrossisce. Non ci sono regole quando si scrive, o meglio, non me ne accorgo più. Ti ritrovi a strimpellare e scopri di avere scritto un nuovo pezzo… La parte musicale, dopo tanti anni di composizione, mi arriva in un attimo, tanto che sono pieno di brani ai quali mancano i testi. L’idea per il tema di cui parlare nella canzone invece è un po’ più complicata. Solitamente cerco di parlare di quello che provo e di quello che vivo, ma si tratta di un processo più lungo. Sono un grande ascoltatore di musica, ho ascoltato di tutto e ancora adesso sono curiosissimo. Sono sempre stato affascinato dalla musica anglosassone e credo che nelle mie canzoni questa influenza ogni tanto salti fuori soprattutto nel modo in cui cerco di incastrare le parole alla melodia. Questo è il punto che rallenta tutto il processo. SM: Cosa mi dici invece di “Sto tornando a casa”, il tuo primo cd-single autoprodotto? Angelo: Un successo web. È stato scaricato una quantità infinita di volte. È una canzone sulla quale punto molto, uno di quei brani che ti arrivano all’improvviso e che sta dando molte soddisfazioni soprattutto dal vivo quando chiediamo al pubblico di cantarla insieme a noi e scopriamo che nessuno riesce a stare in silenzio. Una bellissima emozione! SM: Hai alle spalle dei musicisti di grande professionalità e qualità. Hanno in qualche modo influenzato la composizione dei brani? Angelo: Ognuno di loro ha contribuito con il proprio strumento a creare il sound della band e in molti casi a stravolgere l’arrangiamento dei brani. La maggior parte delle canzoni erano già state scritte quando ho deciso di formare una band, ma già il nuovo materiale lo sto scrivendo pensando a come verrà suonato. SM: Presentaci la tua band Angelo: Credo di essere stato molto fortunato fino ad oggi perché ho messo assieme un team di tutto rispetto e che funziona alla grande. Ho suonato in parecchie band e ti garantisco che è più difficile andare d’accordo musicalmente che personalmente. Ho cercato tra i miei amici e ho spiegato loro cosa volevo fare e che tipo di musica mi sarebbe piaciuto suonare e loro hanno colto il feeling al volo. Il Polipo (Alessandro Polifrone), batteria, è stato il primo ad essere coinvolto nel progetto anche perché conosceva alcuni pezzi in quanto li aveva già suonati tempo fa, altri invece li aveva sentiti nascere dall’altra stanza in quanto coinquilino per un bel po’ di anni. Il suo modo di suonare è quanto di più rock ci sia in giro al momento; in gergo si usa dire che “ha una pacca della madonna”! Antonio Petruzzelli, al basso, è un musicista straordinario che ho tenuto d’occhio fin dal suo arrivo a Milano. È dotato di gran gusto e di spirito d’improvvisazione e insieme ad Ale formano una delle sezioni ritmiche più invidiate nel circuito musicale milanese. Io e Matteo Giudici, il chitarrista, abbiamo suonato insieme in varie formazioni cover nel corso degli anni e ho sempre pensato che fosse il chitarrista più adatto a questo genere di progetto, lo definirei un gran rifinitore e un bel collante per tutta la band. Per quanto riguarda il piano… Ho suonato con Michele Fazio per la prima volta circa quattro anni fa e alla fine della serata ho pensato “porca puttana che feeling!”. Credo che anch’io gli fossi piaciuto come cantante e di lì in poi abbiamo iniziato a suonare spesso insieme. Il suo tocco al piano è un marchio della mia musica. SM: Come la vedi la situazione Rock in Italia, c'e' qualche artista o band che merita un po’ di attenzione? Angelo: Tutti quelli che propongono qualcosa di originale meritano attenzione in Italia. Non ho ancora ben capito com’è la scena rock italiana, ma credo che sotto sotto qualcosa stia cambiando. Sento parlare spesso di artisti rock che sono in studio o che aspettano solo la giusta promozione o più semplicemente il momento giusto. Sicuramente si dovrebbe ricominciare a far suonare artisti italiani come supporter ai grossi concerti stranieri, questo aiuterebbe non poco. SM: Hai collaborato con Claudio Cecchetto, Marco Guarnerio, Maurizio Bassi, Franco Mussida, Luca Orioli... solo per fare qualche nome, cosa ti hanno regalato artisticamente queste esperienze? Angelo: Alcuni mi hanno insegnato un sacco di cose per le quali non smetterò mai di ringraziarli, altri invece mi hanno semplicemente preso in giro e deluso, ma anche questo arricchisce il bagaglio di esperienze. SM: Tra le canzoni che hanno fatto la storia della musica Italiana, quale ruberesti per regalarla alla Angelo Albani band? Angelo: Il fatto di inserire una cover italiana del passato è una cosa molto frequente negli ultimi tempi. Confesso che ci ho pensato spesso, ma non ho ancora trovato qualcosa che mi assomigli. Sono aperto ai suggerimenti, quindi se qualcuno avesse idee in merito può contattarmi sul sito www.angeloalbani.com SM: Com'e' Angelo nella vita privata? Angelo: Chiacchierone, burlone, disordinato e psicolabile, ma simpatico… SM: Ti saluto con l'ultimissima domanda un po’ piccantina... giusto per dare una risposta alle tua tante ammiratrici! Sposato, fidanzato, single, in cerca di anima gemella? Angelo: W le donne!!! ANGELO ALBANI IN SONIKMUSIK
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Post by do on Nov 21, 2005 12:50:13 GMT 1
Dov’è il segreto di un motivo sognante, di una bossa nova arrangiata su melodie jazz, che incanta e trascina anche i profani? Nel talento di Segreto, nome di battesimo Ivan, pianista jazz e cantante. Porta Vagnu è il suo album d’esordio. “Così, d’istinto, all’età di 9 anni si è innamorato del pianoforte ascoltando la sorella che prendeva lezioni. Ho studiato con una bravissima insegnante di una certa età che a volte si addormentava mentre suonavo.” Dopo il Conservatorio a Palermo, decide di studiare il pianoforte jazz a Milano dove attualmente vive, ma il legame con la sua isola non si è mai interrotto. “Quando sento il bisogno di tornare a Sciacca prendo e vado; torno dalla mia famiglia, respiro aria e colori della mia terra e poi riparto con nuove energie per il mio lavoro e la mia vita. ....Passo le giornate a suonare e chiacchierare con gli amici. Per me la musica è soprattutto divertimento.” Istintivo e solare come le sue canzoni, con il sorriso sempre pronto e i riccioli ribelli a sottolineare quell’innata vivacità che si trasforma in timidezza solo quando parla di sentimenti. “Diamante è una canzone dedicata ad una donna speciale, eterea; un amore contemplativo, che non è sbocciato...”. A chi gli chiede come vede il suo futuro risponde con le parole di Porta Vagnu: “Nasciamo piangendo piangendo, beato chi muore ridendo....”
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Post by do on Nov 21, 2005 21:57:59 GMT 1
Ivan Segreto presenta 'Fidate correnti': 'Io, cantante per caso' Nonostante il traffico ed una pioggia battente che ha costretto il cantautore siciliano a ritardare il proprio concerto di una mezz'ora, Ivan Segreto ha presentato dal vivo alla stampa, alla Salumeria della Musica di Milano, il suo nuovo album, "Fidate correnti", giunto a quasi un anno dalla pubblicazione del suo disco d'esordio, quel "Porta vagnu" che lo fece conosce a pubblico e ad addetti ai lavori. Dopo il live set - in scaletta 5 nuove composizioni, "Vola lontano", Fidate correnti", "Tingerei in verde", "Ego" e "Allegra compagnia", inframezzate da "Porta vagnu" e "Il banchetto dell'amore" - l'artista ha informalemnte incontrato i giornalisti per raccontare la genesi della sua nuova fatica in studio. "E' stato faticoso realizzare 'Fidate correnti'", ammette Ivan: "Ho dovuto prendere una maggiore consapevolezza di me, come artista e performer. Innanzitutto mi sono svincolato dal mio vecchio produttore in favore di Marti Jane Robertson, che ha saputo concedermi più voce in capitolo e far suonare il disco nella maniera più spontanea possibile. In secondo luogo ho registrato le parti strumentali delle canzoni come si faceva una volta, in presa diretta, con il batterista (Pino Litrenta) ed il bassista (Daniele Camarda) che mi accompagnano anche dal vivo: è stata un'esperienza molto bella, un confronto continuo tra personalità artistiche molto forti". Ma qual è la differenza più sensibile, secondo Segreto, tra "Porta vagnu" e "Fidate correnti"? "L'utilizzo della mia voce. Prima cantavo con più discrezione, ora invece apro più la bocca, sono più deciso", ammette ridendo, "anche nelle stonature. Il fatto è che ho avuto sempre la sensazione di essere un cantante per caso: la mia decennale formazione pianistica è prettamente jazzistica, anche se oggi mi ritrovo a pubblicare un disco con una major come cantautore. Prendo lezioni di canto da un anno e mezzo, non ho ancora la completa padronanza dei 'trucchi del mestiere'. E poi essere un cantante significa anche avere un'immagine...". Ne scaturisce un problema di identità? "Niente affatto", incalza Ivan: "Il problema è che in Italia l'immagine è diventato l'unico mezzo per essere notati e farsi notare. Prendiamo, ad esempio, la musica dal vivo: ci sono artisti senza un'immagine definita che, nonostante un talento incredibile, faticano ad esibirsi, mentre altri - forti di un look più determinato e con la complicità dei media - riescono a sfondare presso il grande pubblico". Parlando di pubblico, si potrebbe tracciare un "identikit" del fan tipo di Ivan Segreto? "Non credo, e forse è questo il bello. Non sento di legarmi all'aera del jazz, anche perché in questo nuovo disco ho cercato di emanciparmi dallo swing e da tutti gli altri aspetti jazzistici della mia musica... C'è chi ascolta Ligabue e si spinge fino a Capossela: il mio fan è una persona che ascolta soprattutto le canzoni, prima ancora di leggere le etichette. L'ho capito a Napoli e a Bari, in occasione di alcuni concerti: è stato impressionante - per chi fa un genere di musica come il mio - vedere 1000 e più persone cantare in coro una tua canzone. Questo dimostra che la gente, al di là dell'appeal che possa esercitare un artista sul pubblico, ha 'fame' di belle canzoni, e nient'altro". (Rockol News 03 ott 2005)
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Post by do on Nov 26, 2005 20:33:54 GMT 1
Lo studio di Ettore Sottsass è molto accogliente. La freschezza del pensiero di Sottsass è nota, come la sua energia, ma c’è una vena malinconica che guizza ogni tanto dai suoi occhi, e ti arriva come una carezza. Sarà proprio lì il suo segreto.
Spesso tu hai espresso un’idea tragica dell’esistenza. Come sta il tuo spirito, come stanno i tuoi pensieri? Come ti prendi cura di te?
Intanto, come sai, ho 85 anni, quindi lo spirito di adesso è molto diverso da quello che potevo avere anche dieci anni fa. A una certa età la domanda che ricorre più frequentemente è perché si è fatto tutto il casino che si è fatto; da un lato si continua a pensare a una specie di consuntivo, e dall’altro non si fanno grandi programmi per il futuro, e infine si sente molto di più un senso di inutilità dell’esistenza, si comincia a capire che tutto quello che si è fatto durante la vita è stato una specie di alibi per sopravvivere più che per vivere, è un po’ complicato. Come mi prendo cura di me? Intanto vivo con Barbara Radice che mi cura dalla mattina alla sera come se fossi un bambino, cucinando cose molto buone e molto sane, poi facendomi fare dei check almeno due tre volte all’anno e poi mi curo soprattutto non pensando alle malattie. In generale io ho un atteggiamento per il quale non cerco di cambiare la situazione o le situazioni ma cerco di cambiare me stesso in rapporto alle situazioni. In realtà mi prendo quasi tutte le responsabilità della mia stessa vita. Penso che questo sia anche un atteggiamento salutare, perché così tutto quello che mi succede lo provoco e non mi lascio troppo influenzare dagli eventi esterni. Non troppo, insomma. Ma come dico, sono cose molto difficili da raccontare, queste.
Tu pensi che ne valga la pena, che si può incidere sulla realtà?
Penso che si possa incidere sulla realtà, ma senza pensare di dover incidere sulla realtà, facendo quello che si è capace di fare, o quello che si pensa di fare, o si ha voglia di fare, ma senza dare uno scopo politico o pratico di nessun genere. Come ho già detto altre volte, è come fare l’amore senza la necessità di fare figli. La cosiddetta realtà è imprendibile, e poi ha una tale dinamica che una persona da sola non riesce a starci dietro. Uno apre i giornali ogni giorno e capisce che non ha niente a che fare con tutto quello che succede, e che non ha mai avuto niente a che fare. Quindi questa idea che si possa incidere la consegno a quello che faccio. Allo stesso modo nei riguardi del denaro: uno può disegnare qualcosa pensando a quanto guadagnerà, oppure può disegnarla pensando che la sta disegnando e basta, così uno può percorrere la vita con un atteggiamento etico verso se stesso e verso gli altri, senza che diventi professione politica o altro. Una volta, molti anni fa, ho fatto una piccola ceramica e l’ho data in mano alla mia ragazza, lei si è messa a piangere e mi ha baciato: in questo modo ho inciso sul mondo circostante. Quando abbiamo fatto Memphis, quella grande confusione, non pensavamo né di vendere né di indicare una strada per gli altri, l’abbiamo fatta e basta, quello che è successo è successo. Alcuni poi hanno scritto che abbiamo rovinato i giovani, ma i giovani si sono rovinati da soli se si sono rovinati.
Si deve essere cani sciolti, come dice Umberto Riva, per fare questo?
No, bisogna essere persone gentili, pazienti ed avere molta stima degli altri. Il modo di dire "cane sciolto" ha in sé stessa una certa idea di violenza, non mi sento un cane sciolto, mi sento un uomo che aveva un padre, una madre, ha avuto una moglie, fidanzate, tutto meno che un cane sciolto
Che rapporto hai con il Sud? Che ne pensi?
Il sud è il posto che più mi ha emozionato, soprattutto perché è un posto che ha sofferto molto, da sempre, e quindi ha sviluppato un tipo di atteggiamento molto tenero; forse non è il sud che l’ha inventata, ma considera la vita come una commedia dell’arte, e quindi non è aggressivo. Certamente ci sono stati periodi di colonialismo, ma quando parliamo del sud parliamo della gente del sud, delle loro case, delle loro donne, del modo di cantare, di vivere, di mangiare. Ho una piccola casa a Filicudi dove vado tutte le estati e dove lavoro. Tutti i lavori più carini che ho fatto, non avrei potuto farli in un’altra solitudine, forse in un’isola del Pacifico ma non certamente dell’Atlantico. E poi ho per il sud quella speciale nostalgia perché io sono un uomo nordico, e tutti i nordici vengono volentieri al sud. Questo sud per me è sempre fonte di grande fascino, di grandi emozioni; eravamo qualche tempo fa a Siracusa, era pieno di fantasmi greci che gironzolavano lì, fantasmi di antiche genti come ad Amalfi, nella stessa Napoli, in tutto il sud c’è questa umanità che continua. Certo oggi anche l’umanità del sud è in pericolo, mi sembra. Poi mi interessa molto l’architettura mediterranea in generale, che è molto modesta, molto attaccata alla vita quotidiana, alle fatiche, mi piacciono i muri, le porte, l’uso delle stanze…mi interessa molto la luce di Filicudi. Mia moglie poi conosce a memoria tutte le canzoni napoletane, mi fa una testa così, lei è di Como.
Mi ha colpito molto quello che hai detto della leggerezza e del fascino del muro...
Anche questo ha a che fare con il sud, lì ritrovo questo peso della casa che è il peso del suo rituale. Mi emoziono sempre molto quando entro in contatto con i pesi del mondo.
I tuoi disegni esposti alla Biennale si distinguono nel panorama del virtuale, che a volte risulta imbarazzante per uniformità. Che pensi dell’architettura di oggi? Non c’è un grave rischio di uniformità?
Distinguo tra edilizia e architettura. Nella Biennale secondo me il novanta per cento era edilizia; se vuoi costruire un grattacielo, fai presto, non c’è problema, son tutti uguali, più o meno. Ma naturalmente sono disegnati come metafora della società contemporanea e del destino di questa società industrializzata. Allora potrei anche pensare che tutti questi architetti, con le loro costruzioni siano complici degli orrori della contemporaneità. La maggior parte delle architetture che ho visto lì sono precise metafore del potere che ogni giorno produce un certo tipo di cultura. Come hai visto, le casette in Toscana sono per la gente, non sono edifici per la banca o per le grandi corporations o per duemila impiegati. Siamo abbastanza in pochi che hanno capito questo tema, che vedono l’architettura come metafora di uno stato, chiamiamolo pure politico – non inteso come professione politica ma come stato antropologico, stato della cultura in generale. Questa è la mia posizione e devo dire che mi sento molto solo e faccio fatica anche a progettare. Certamente chi mi lascia fare qualcosa è sempre gente molto ricca, perché i poveri non vengono da me, ma non vanno da nessuno, i poveri ricevono quello che il potere gli da come abitazione, come distacco dal centro delle città. Ho anche questo problema: parlo di case per la gente, però poi queste persone sono miliardari. Tuttavia questi miliardari sono persone molto intellettualizzate, galleristi, collezionisti o altro, quindi in qualche maniera perdono a me stesso quello che sto facendo, parlo e faccio per gente perbene. In definitiva sento che il mondo va da una parte e io vado dall’altra. Non so se è bene o male, ma è così.
Hai detto che siete in pochi. Con chi ti senti in compagnia?
Non conosco molto i nomi… Moneo in Spagna, anche Siza in un certo senso, in Spagna ci sono giovani architetti bravi, ho anche molta stima per Isozaki, ha disegnato sempre cose con una certa grazia e un certo senso della proporzione per quello che stava facendo rispetto alla società. Ero molto amico e sono molto amico di Frank Gehry, però non sono d’accordo con quello che fa; in quel senso, se decidi che l’architettura è quello, lui è il massimo; tra i giovani italiani poi c’è Pellegrini che è una persona seria. Ad ogni modo sono talmente solitario, poi non guardo quasi mai le riviste, ma sono sicuro che ci sono architetti bravi, anche nel meridione.
Tu sei stato sposato con Fernanda Pivano. Che influenza ha avuto sul tuo lavoro la letteratura in particolare, e gli altri linguaggi culturali in genere? Che cosa leggi, oggi?
Ho letto moltissimo durante la vita, ma adesso leggo molto poco. Attraverso Fernanda ho avuto rapporto con una certa letteratura: la letteratura americana, non voglio dire di rivolta ma di distacco, anzi di denuncia. E quindi mi sono trovato di colpo con tutto questo pacchetto di persone che ho conosciuto, ho frequentato, con cui ho parlato, come una specie di conferma di tutto quello che da ragazzo in maniera molto vaga già potevo immaginare. La stessa cosa mi è successa quando sono andato in India, ho voluto andare in India, perché mi sembrava che lì potevo trovare una conferma o dei corollari a quello che mi urgeva dentro. Ho letto l’estetica di Croce più volte al liceo e mi incazzavo, evidentemente c’era in me un bisogno di annusare la contemporaneità o la necessità della contemporaneità. Tornando agli americani, questo modo di scrivere e di essere soprattutto, perché pagavano con la vita quello che pensavano, è stato per me di grande consolazione e di grande conforto e anche di insegnamento. Poteva esistere questo pensiero "altro" e diventare realtà. Poi non sono diventato uno di loro, mettiamola così, un po’ perché non c’è l’America delle periferie qui da noi, e quindi non c’è proprio la possibilità di essere così, un po’ per paura, poiché ci vuole molto coraggio a vivere come vivevano quei ragazzi lì, bisogna abbandonare qualsiasi supporto borghese, dai vestiti al mangiare, al dormire.
Tu hai viaggiato molto…
I viaggi sono stati sempre una ricerca di conferme di zone del pensiero, come quando vado a Napoli, lì trovo una conferma, mi sento bene, mi dilato, sto tranquillo. Così in India. E’ talmente vasta questa cultura indiana, questa civiltà, questo modo di essere, questo teatro indiano e uno dice : ci può essere un altro modo, ci può essere un mondo di colori, qui non c’è, lì c’è, quindi ci può essere; ci può essere, mettiamo, un altro modo di trattare i fiori, certo qui si mettono in un vaso e lì si buttano per terra o nel fiume, o un altro modo di morire, un altro modo di nascere, non so bene, ma ci possono essere altri modi di vivere. E così ti senti in un mondo più largo, nel quale puoi viaggiare meglio, trovi altri problemi. Prendi ad esempio questa idea che qualsiasi oggetto che si disegna può essere uno strumento per la vita e quasi per un rituale esistenziale: lì poiché non hanno niente - non hanno forchette, non hanno sedie, non hanno piatti, mangiano dentro delle foglie, mangiano con le mani, siedono per terra e così via, quello che hanno è una ciotola per tenere l’acqua o la zuppa – ecco poiché non hanno niente, questa ciotola è l’esistenza stessa, la possibilità di esistere. Dalla preistoria fino all’arrivo del consumismo, gli oggetti erano strumenti di vari tipi di rituali esistenziali, dalla freccia alla spada…si vede da come erano disegnati o trattati, bene lì c’è una conferma che un’intera civiltà è esistita considerando con molta cura e con molta concentrazione il disegno e la presenza degli oggetti, pochi ma importanti. Noi siamo agli antipodi, va bene, non si ferma niente, ma dentro una nuova cultura si possono esaminare nuovi atteggiamenti, non è detto che si debba accettare tutto. Per lo meno il diritto di discutere esiste ancora.
Che cosa è l’instabilità per te? Nelle tue opere si trovano spesso cubi in bilico, forme poggiate di spigolo… come la controlli, come ci stai di fronte?
Prima ti dicevo che diventando vecchio questa idea della instabilità è sempre più violenta. L’instabilità è l’accettazione della non verità, la non esistenza di una verità, l’abitudine, ad esempio, alla quale mi sto abituando da anni, a non giudicare o a giudicare molto da lontano, ma soprattutto l’idea che tutto si distrugge, che tutto si costruisce ma si sa già che si distrugge. Tu vivi ma sai già che puoi anche morire, non so bene, c’è sempre questo duplice pensiero che porta a immaginare che tutto è instabile; non c’è niente di definitivo, neanche l’acciaio inossidabile, niente niente niente niente, la vita è instabilità, e io tengo conto di questo nel disegnare. Quando parlo di modestia, di calma, di pazienza, dietro c’è sempre l’idea che non sei uno capace di toccare la verità, mai.
Che rapporto instauri con i tuoi collaboratori, che sono tutti giovani?
Ci sono giovani e giovani, per fortuna in generale i giovani che gironzolano qua sono molto carini e molto simpatici; abbiamo più di che altro un rapporto di amicizia. Stanno qua, lavorano con me per tre o quattro anni e poi nella maggior parte dei casi vanno per conto loro, è naturale. Mi aiutano molto, mi incoraggiano, quando vengono al mattino mi sorridono e mi dicono: ciao Ettore. E’ già una bella fortuna. Naturalmente in qualunque gruppo bisogna pensare a una forma di stato politico, ci sono tensioni, c’è quello che rompe, quell’altro che si mette a piangere, è un piccolo mondo in cui ognuno ha le proprie necessità, le proprie capacità, c’è qualcuno che è molto bravo a progettare, qualcuno che è più bravo a disegnare, qualcuno che lavora più in fretta. Sono molto contento quando vengo qui e vedo questi ragazzi e anche quando c’è qualcuno che non funziona come dovrebbe non mi dispiace, così è la vita. Nel complesso sento le voci giovani. Poi adesso tutti sono fanatici del computer naturalmente e allora devo combattere perché non stiano lì ipnotizzati dallo schermo, poi certe volte li sgrido perché non leggono, però guarda, sono veramente una grande compagnia.
Che rapporto instauri con i tuoi committenti?
Di amicizia, sempre, nel senso che stiamo ore e ore a cena a chiacchierare, ci telefoniamo, ci vediamo, gli mostro gli schizzi. Il committente deve essere uno che conosci bene, e lui deve conoscere te. E’ un colloquio, poi ho solo lavorato con committenti privati. L’unica opera pubblica che ho fatto è la Malpensa, certe cose le ho anche sbagliate perché pensavo di avere un committente privato, pensavo di disegnare per la gente che aspetta di partire o che arriva, invece mi sono accorto che l’aeroporto contemporaneo praticamente è uno shopping center, la parte del passeggero è la meno importante, non interessa a nessuno cosa diventi il passeggero e quali siano i suoi problemi.
Le tue architetture sembrano disinteressarsi del contesto. Sembrano dei grandi oggetti solitari, è così?
Non del tutto ma può anche darsi. Allora, prendiamo le case in Toscana che hai visto alla Biennale. L’architettura popolare toscana è molto forte, è fatta di torri, castelli, quindi lì ho curato molto il rapporto con l’intorno. Una delle prime case che ho fatto, nel Colorado per Wolf era nel nulla, avrei potuto disegnare l’architettura di Cortina d’Ampezzo lì…questa qui in Belgio sta in un posto di casette piccole, molto noiose, però è un luogo che mi interessa molto per i materiali, le tegole marroni, le piastrelle, inoltre usano molto la ceramica anche nelle loro case. Anche qui ho lavorato per un miliardario. Se viene uno e ti dice: "fammi una casa, tutt’intorno ci sono uccelli, e poi ho tre bambini, e poi c’è la galleria e quindi devo tenere in esposizione i quadri per i clienti", ti preoccupi di fargli una casa dove viva bene, i bambini li ho messi in una casetta separata, gli uccelli pure, poi lui è un po’ megalomane e ha esagerato le dimensioni, però la casa quando tu viaggi quasi non la vedi, perché è dentro i boschi. Anche la casa che ho disegnato per la sorella è dentro i boschi e quasi non si vede. Sono zone che non hanno una caratteristica precisa, a parte queste casette con il giardinetto davanti, non è come la Toscana o l’isola di Filicudi dove ho ricostruito un rudere così come era perché non avrei toccato niente. D’altra parte io immagino che una casa per un miliardario deve essere un organismo molto sofisticato; se dovessi costruire per un povero sarebbe diverso. Una volta quando eravamo agitati per i movimenti di architettura radicale o anti design, pensavo che avrei disegnato una casa per un operaio con la piscina, con la biblioteca, perché trovo che l’architettura per il popolo sia la cosa più orribile che si possa immaginare, così come è concepita oggi. E’ una forma di carità a gente che avrebbe bisogno di ben altro. Questa è una cosa che puoi pensare ma mai realizzare, ma questo agitarsi tra ricchi e poveri è il problema della società da sempre. Sono molto ammirato di alcuni giovani architetti che ho visto qua e là, italiani, che invece hanno una grande cura del contesto, sarà che non ho mai avuto l’occasione di fare, metti, una biblioteca in un paese
Una volta hai detto: " Noi viviamo sotto una specie di tettoia, qui si recita la commedia umana. Non andiamo mai sopra la tettoia, dove c’è il cosmo" . Come si fa ad andare sopra la tettoia?
Non si va. Non so se conosci i precedenti della tettoia: un giorno d’inverno stavo mettendo una giacca di lana pesante e c’era un gattino che mi guardava e ho pensato: questo gatto non capisce cosa sto facendo, non sa niente né cosa è una giacca, né che c’è l’inverno, né cosa è il freddo, non sa niente, e non potrà mai sapere niente perché il suo cervello è strutturato in una maniera tale che al di là di certi confini non va, è inutile voler andare oltre. Noi siamo nella stessa situazione, siamo sotto una tettoia e non riusciamo ad andare mai al di là. Tutto quello che succede sta qui sotto, la tettoia è il nostro confine, c’è questo spazio dove riusciamo a pensare, ad agire, a mangiare, a consolarci. Questa è la tettoia ed è ridicolo pensare di superarla; forse quelli che credono in Dio possono pensare di oltrepassarla. Quelli che sono coscienti di non poter andare oltre, hanno detto: ci vuole la fede, ma la fede non è niente, sta anch’essa dentro la tettoia, infatti per avere la fede si deve essere uomini, ma se sei uomo non vai al di là della tettoia. Non so, mi sembra un circolo.
Grazie per avere avuto la disponibilità di sottoporti ad un’ennesima intervista e di esserti mostrato come persona.
Nell’aeroporto di Linate, con li volo ritardato di quattro ore per lo sciopero, si avverte più di altre volte, tutto il disagio del passeggero trascurato dalle logiche progettuali a favore dei troppi punti vendita ammiccanti e ammorbanti, proprio come avviene nella città dove il dominio dell’immagine schiaccia i veri bisogni dell’uomo. Ettore, con altri pochi, se ne fa carico.
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Post by do on Dec 10, 2005 22:38:41 GMT 1
Cosa ascolto in macchina in questo periodo? Dato che la mia auto è decisamente all’avanguardia, pur essendo datata, è provvista di un caricatore a sei cd. Il problema è che cambio i cd una volta il mese se mi ricordo, rimando sempre a domani… L’altro giorno, però ho cambiato i cd e vi dico cosa ho preparato.
Posizione numero uno: The Real Thing dei Faith No More del 1989, disco meraviglioso che precedeva di qualche decennio i vari Linkin Park (che però mi piacciono).
Posizione numero due: Glean degli Echobrain. Questo è il loro secondo disco, credo che siano canadesi, e nel primo al basso c’era Jason Newsted ex dei Metallica. Bellissimi brani, no metal.
Posizione numero tre: Crueza De Ma di Fabrizio De Andrè, no comment.
Posizione numero quattro: il disco dei A Perfect Circle, non mi ricordo il titolo, che mi ha dato un mio amico. Veramente speciale la versione di Imagine di John Lennon.
Posizione numero cinque: Abba Gold, un greatest hits degli Abba. Lo so, facevano dance e io sono un rockettaro, ma mi piace un casino il loro approccio melodico.
Posizione numero sei: Caragna No dei Teka-P. Loro suonano spesso al Nidaba e presentano un repertorio originale in dialetto milanese. Sono bravissimi, suonano benissimo e in più il disco è molto bello. Vi consiglio di andarli a vedere se vi capita. Credo ci sia anche un loro sito web.
Angelo Albani
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Post by do on Dec 21, 2005 22:56:15 GMT 1
Il mio nome è Paolo Pallante, ma mi chiamano Zago... Sono nato Roma e abito a Tivoli, 'ché ci sto più comodo. A 23 anni mi sono laureato in Farmacia, come forse sarebbe piaciuto a mio nonno, ma lui già non c’era più e io davvero ho fatto il farmacista. Questo fino a 28 anni quando, confuso ormai irrimediabilmente il giorno con la notte, decisi che la mia strada sarebbe stata quella che percorrevo da quando ero piccolo e pagliaccio.
Suono facilmente un po’ tutti gli strumenti e questo grazie a quello che mi hanno sempre detto di avere: un grande orecchio (anche se io continuo a vederne due e di normali dimensioni).
I miei strumenti sono comunque la chitarra, acustica o elettrica e la voce, adoro il blues, il jazz, lo swing, musiche ricche di emozioni e cultura.
Ma eccoci al punto: sono un cantautore, se questa parola è ancora in uso si può usare per me. Scrivo e racconto storie, preferibilmente le mie, ma si fanno eccezioni. Spero di raccontarti qualcosa di me con le mie canzoni. Molto altro ne rimane. Il viaggio è lungo... e non c'è fretta.
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Post by do on Dec 22, 2005 22:23:41 GMT 1
Dietro ogni artista c'è sempre un nomade in cammino ed in continua ricerca. Musica, filosofia, cinema e pittura. Ma di che cosa è alla ricerca Franco Battiato?
E' sempre una, non ce ne sono altre. Capire il perché di questo viaggio.
Contaminazioni musicali e culturali. Le sue canzoni hanno sempre gettato un ponte su mondi così diversi come quello mediorientale e quello occidentale. Qual è il senso di questa contaminazione?
Bè, è l'arricchimento, è la base. Tutte le volte che introduci l'eccezionalità di un'altra cultura diventi un altro uomo.
A distanza di molti anni, alcune sue canzoni sono tuttora attualissime (“Povera Patria” - “Bandiera Bianca” - “Magic Shop”). Certi testi, riletti con gli occhi del nostro tempo, sembrano quasi profetici degli anni che ne seguirono. Si può parlare di “Immortalità della musica”?
Bè, diciamo che in questo caso purtroppo abbasserei il tiro… Nel senso che una canzone come Povera Patria, poteva andar bene anche nell'antica Roma perché, i vizi dell'uomo non sono mai cambiati.
“Cercare l'alba dentro l'imbrunire”, oggi è ancora attuale interrogarsi sulla filosofia?
Sono fenomeni che non possono sparire.
Franco Battiato a Macerata per l'inaugurazione del nuovo Anno all'Accademia delle Belle Arti. Qual è il suo rapporto con la pittura? Da dove nasce?
E' nato come terapia, per me. Ecco, è stata una terapia di riabilitazione… Perché ero proprio completamente negato con il disegno e nella pittura anche. Quindi è stato un percorso per appropriarmi di una cosa che non possedevo.
“Perduto Amor” - il cinema, la Sicilia ed i luoghi d'infanzia. Ma com'è nata questa avventura, come è andata?
Tutto sommato, alla fine di questa storia sono veramente molto contento, tanto che ne sto facendo un altro (è in produzione un altro film di Franco Battiato sugli ultimi giorni di Beethoven)… Ma, il primo film mi è stato commissionato, non avevo in mente di farlo… E adesso che non me l'hanno commissionato, non vedo l'ora di farne un altro.
Com'è Battiato regista?
Bè, sinceramente sorprendente… Nel senso che so quello che voglio.
E quindi il progetto su Beethoven continua?
Assolutamente si.
Samuele Baccifava
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