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Post by do on Nov 13, 2005 22:45:13 GMT 1
Ho incontrato un poeta a Milano......
“Ho studiato al Conservatorio, ma non mi sono diplomato. Ho girato i 7 mari, ma non mi sono trovato. Mi sono iscritto all’università, ma non mi sono laureato. Sono entrato nella nazionale di canottaggio, ma alla fine non ho gareggiato. Ho fatto lo scaricatore di porto, ma mi sono slogato una caviglia. Volevo cambiare il mondo. Ma lui non ne voleva sapere. Ho fatto il rappresentante di commercio, ma non mi andava. Che fare? NON MI RESTA CHE LA PUBBLICITA’!” Questo è il curriculum con cui Lorenzo Mullon si è presentato (ed è stato assunto) in un’importante agenzia di pubblicità qualche anno fa. Le ultime due righe, che aggiornano il curriculum, le ha dette a voce, in un’intervista: “Ho fatto il pubblicitario, ma poi mi hanno dato un ufficio sopra il parco, e mi sono innamorato”. Di una donna (forse), degli alberi (sicuramente). Lorenzo, ex violinista, ex scaricatore di porto, ex rappresentante di commercio, ex pubblicitario, ex pittore, si autodefinisce un “trovatore”, come quei poeti vagabondi del XII secolo. E anche, più prosaicamente, “uno spacciatore di poesie”. Gira per i parchi di Milano (ma a volte anche al Parco del Valentino di Torino) a leggere le sue poesie alla gente che incontra. Chi le apprezza può comprare (offerta libera) una delle sue raccolte autoprodotte “La vita in piccolo” e “Anche i sassi fanno le fusa”, firmate, ovviamente, Edizioni del Parco. “...Camminavo nei parchi,....guardavo i sassolini per terra, li raccoglievo e pensavo: ‘Toh, la vita in piccolo’. Ho iniziato a scrivere le mie poesie, che chiamo ‘poesie ingenue’, su cose piccole, un’ape, del muschio, una sensazione, un sassolino”. La sua strana professione è una scelta e non un ripiego : e quella di oggi è la più felice delle molte vite che ha vissuto fino ad ora.
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Post by Raimondo Luciani on Nov 15, 2005 20:46:48 GMT 1
Io amo svisceratamente i giardini di Porta Venezia. Per una miriade di buoni motivi. Il primo è che erano il mio parco preferito quando ero piccola. Allora (quarant’anni fa, più o meno) c’erano gli scivoli più lunghi e tortuosi di Milano e provincia, e c’era pure lo zoo, con un magnifico leone più somigliante a un gattone spelacchiato che ad una belva in gabbia. Ai giardini di Porta Venezia, ubicati esattamente a metà strada fra casa mia e casa sua, ho avuto il mio primo appuntamento con Flavio. La prima volta che l’ho visto è sbucato dall’ingresso laterale sui Bastioni, con il suo cane pastore al guinzaglio. Passeggiando fra i vialetti ghiaiosi di fronte all’Acquario, ho avuto l’intensa percezione di un innamoramento repentino e ineluttabile. La sensazione è andata rafforzandosi in molti incontri successivi, consumati nello stesso scenario , nel quale cercavamo di improvvisarci come improbabili fidanzatini di Peynet, baciandoci romanticamente sulle panchine, mentre il cane (suo) rincorreva l’osso e il figlio (mio) rincorreva altri bambini sui prati . Oggi sono tornata sul luogo del delitto, un po’ inseguendo i ricordi, un po’ appagando un desiderio filiale che, fortunatamente, ben si accordava col mio umore vago e sognante. Diego sosteneva di aver sentito che c’erano delle iniziative per i bambini, ai Giardini. Sperava di trovarci qualche attrazione irresistibile, tipo i tappeti elastici su cui aveva volteggiato l’ultima volta per mezzora, alla modica cifra di euro cinque, o gli scivoloni di gomma (la passione per gli scivoli è ereditaria? pare di sì) , o qualche altra fantasmagorica trovata svuotataschedeigenitoriconsensodicolpa. Io, invece, speravo forse di rimorchiare un altro bel ragazzo, con/senza figlio/cane al seguito. Io e Diego abbiamo fatto il consueto pellegrinaggio fra i luoghi della perdizione infantile: lo stagno con le anatre, la roccia per aspiranti scalatori (stavolta c’era un tizio che si allenava a fare il ciclocross su un masso pieno di spigoli e rientranze), il trenino, la carrozzella coi ponies, l’organetto e il teatrino del Patetico. Il Patetico è un ometto sull’ottantina, che ha un organetto a manovella sul quale canta arie anni Trenta , mentre agita a tempo due marionette dagli abiti laceri e dai nasi rossi . Il Patetico è irresistibile, lo giuro. Starei a contemplarlo per delle ore. Diego, forse, no. Mi tirava la manica. “Di qua, mamma. I tappeti elastici erano di qua.” Ma i tappeti elastici non c’erano. Diego ha ripiegato a malincuore sul serpentone di legno sul quale cercare di rimanere in equilibrio, io mi sono accomodata su una panchina. “Tu le leggi le poesie?” alzo lo sguardo ed incontro innocenza. Azzurra. Azzurra la camicia e azzurri gli occhi che cercano i miei. Mi chiedo perché, fra tante mamme nel parco, questo bel tipo sbucato dal nulla abbia scelto proprio me. Abbasso gli occhi e prendo atto che il ragazzo dimostra più senso pratico di quanto la sua domanda lasci supporre. Sono l’unica, nel nostro comune raggio visivo, che tiene un libro fra le mani. Sto leggendo un noir- in realtà un romanzo abbastanza truculento- ma Mr Ceruleo non ha avuto modo di occhieggiare la copertina, e probabilmente si illude ch’io sia un’anima candida e sensibile, vulnerabile al fascino delle parole in rima. Non sa, il poveretto, che sono arcigna e prosaica. “Tu le leggi le poesie?” . Non rispondo – è troppo carino per indurmi ad una replica sincera- e gli sorrido. Lui sorride di rimando . “Questo è un gran bel posto per la poesia. Io ci vengo tutti i giorni, ad ispirarmi. Ci sono tanti bambini…” Ha i capelli neri e ricci, e pare un bambino anche lui. Inizia a declamare una delle sue “creazioni”, con enfasi imbarazzante. Io non so più dove posare lo sguardo. Il libro l’ho posato sulla panchina, chiuso, con il titolo appoggiato a faccia in giù, per un inspiegabile riguardo verso il Poeta Azzurro che sta recitando i suoi versi ad uso e consumo mio e di altre madri curiose e “ golose “. Smetto i miei pensieri lubrici e lo ascolto, finalmente. Non sono mica malvagi, i suoi versi. E poi mi piace l’idea della vendita di poesia “porta a porta” – anzi, “panchina a panchina”. Lui, imperterrito, continua l’offerta del suo repertorio all’improvvisato uditorio . Gli prendo dalle mani dei volumetti rilegati in modo semplice ed artigianale. La copertina è bianca; su uno è incollata una stella di cartone, sull’altro una barchetta . Il titolo delle raccolte poetiche è stampigliato a computer, così come il nome dell’editore , EdizioniDelParco. “Faccio tutto io” mi dice orgoglioso. Mi scappa un commento prosaico. “Certo che oggi, i libri o si vendono così …” “ Ne ho venduti 2000, sai?” “ Mi fai vedere cosa hai in borsa ? “ (Mannaggia alla mia anima mercantile e materialista. ) . Lui estrae due raccolte. “Queste sono poesie. Questa , invece, è più prosapoetica “. Arretro istintivamente di fronte alla seconda opzione, come mi avesse mostrato “La Torre di Guardia”. “ No, no, la prosapoetica no. Voglio le poesie. “ mi sento dire, mentre mi do mentalmente della cretina. Arriva Diego. Guarda il poeta con sospettosa diffidenza e me con aria interrogativa. Il suo sguardo dice chiaramente “ E questo qua chi cazzo è? Non ti posso lasciare un minuto da sola…” Il poeta, che è a fine trattativa, tenta di ingraziarsi il bambino. Gli recita due poesie, una su un aquilone e l’altra sulle conchiglie, chiedendogli di sceglierne una, per scrivergli una dedica autografa sul libro. Diego si cucca la dedica sulle conchiglie. Eccola:
Se fossero di legno,
le conchiglie sulla spiaggia sarebbero velieri,
la piuma di un gabbiano l’albero maestro
e il soffio delle nuvole
la carezza di un sogno chiamato Oceano
Io, invece, mi becco questa:
Il presente è sempre in orario
Ah, il poeta si chiama Lorenzo Mullon. Secondo me è bravo.
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Post by do on Nov 15, 2005 22:33:37 GMT 1
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